continuiamo:
Quello che contesto di quanto avete scritto è che:
1)Ne per gli stoici ne per Filone il logos è un qualcosa che è altro rispetto a Dio.
2) non è assolutamente una creatura, ma è proprio l'artefice della creazione.
3) non ha un principio, caso mai è il principio della creazione.
Non possiamo dimenticare questi tre punti quando esaminiamo cosa era il logos in quel particolare periodo storico.
Veniamo a Giovsanni:
In Giovanni 1:1 si specifica chiaramente che "nel principio il logos era" dal greco "hen"(metto l'h per distinguerlo da en (in)) derivante da eimi = essere, esistere,
il logos non ebbe un principio, ma esisteva nel principio, Il verbo “era” (hen) essendo un imperfetto con valore di predicato, ha qui il senso forte e pieno di esistere, indica l’eternità dell’esistenza.
Con questo verbo Giovsnni vuole affermare che non vi fu mai un tempo in cui il logos "non era", egli dichiara di una realtà anteriore al principio di genesi 1:1, prima della creazione esisteva una parola divina che doveva creare e organizzare l’intera creazione.
L’imperfetto "era" ricorre tre volte nel versetto, ma assume tre significati diversi:
la prima volta significa esistere e indica l’esistenza eterna,
la seconda volta esprime una modalità dell’esistenza (era presso Dio)cioè abitare o dimorare presso Dio;
la terza volta, designa l’essenza stessa del logos definito nella sua divinità (il logos era Dio).
Egli era dunque presso (pros=verso) il padre (Dio - ho theos) ed era Dio come il padre (kai theos hen ho logos), nessuna confusione, nessun politeismo o monolatria ("un dio" ecc...) Quando in greco due nomi sono congiunti dal verbo "essere" e quando ambedue hanno l'articolo determinativo, si intende che l'uno sia identificato pienamente con l'altro;
ma quando uno di loro è senza l'articolo (come nel caso in questione), diventa più un aggettivo che un nome, e descrive piuttosto la natura o la sfera di appartenenza dell'altro, perciò possiamo dire che il lógos appartiene alla stessa sfera di Dio, ha la sua natura, pur senza essere identificato con Il Dio (il padre appunto).
D'altra parte va osservato anche che il Verbo non è detto «divino» (theios), ma «Dio» (theos); viene quindi attribuita a lui la deità.
A questa confessione iniziale della deità di Cristo corrisponde la solenne professione di fede di Tommaso alla fine del vangelo: • Signore mio e Dio mio ! » (20,28).
Giovanni prende in prestito questa parola dall'ellenismo creando una teologia specificamente nuova, il logos quale principio che governa il creato e come legge razionale per ogni esistenza, è il figlio di Dio che si fa uomo, che viene ad abitare tra noi, egli è l'Emmanuele, il Dio-con-noi, il Dio trascendente diviene egli stesso anche creatura, per provare personalmente cosa significa essere creatura e poterci comprendere tangibilmente, questa conclusione scaturisce dal verso 14:
Giovanni 1:14 " E il Verbo si fece carne e dimorò fra noi e abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre"
Non si dice "fu fatto carne" come se il padre solo avesse questa prerogativa, ma disse "si fece carne" quindi fu il figlio eterno ad assumere anche tale natura, rimanendo intatta e immutabile la sua natura divina celeste, cercherò di essere più chiaro: dicendo che si fece carne doveva rimanere intatto quel che era, altrimenti non avrebbe potuto farsi carne, non so se riuscite a comprendere dove voglio arrivare.
Se egli come pensano alcuni, smise di essere quello che era, non poteva certo assumere l'umanità, in quanto non esisteva ed avrebbe avuto bisogno di qualcuno che lo facesse divenire uomo.
Ritorna qui il soggetto espresso al v. 1, il Verbo. Le affermazioni dei vv. 1 e 14 sono parallele e contrapposte: - carne: definisce l'uomo nella sua condizione di debolezza e di destino mortale; ciò che non avrebbe detto, in termini biblici, la parola « uomo «.
È quindi intenzionalmente evidenziato il contrasto tra il Logos (nella sua condizione divina) e la carne (nella sua condizione umana). -
si fece: traduzione migliore rispetto a « divenne », perché non avvenne una trasformazione, ma, rimanendo il Logos che era, cominciò a vivere nella sua nuova condizione debole e temporale.
"e dimorò fra noi": il verbo greco eschenosen che arieggia il verbo ebraico skn (= abitare), può significare sia «dimorare» che « porre la propria tenda », allusione alla dimora di Dio in mezzo al suo popolo, collegata con l'arca santa e la gloria. La gloria in particolare è anche qui subito riferita all'abitazione del Verbo. Va ricordato che anche della sapienza viene detto che prende dimora in mezzo agli uomini (Sir '4,8) e come sappiamo per Filone il logos era proprio questa gloria di Dio.
Giovanni continua al verso 18 dicendo:
Giovanni 1:18 "Dio nessuno l'ha visto mai. L'Unigenito Dio, che è nel seno del Padre, egli lo ha rivelato"
L'unico Dio generato, il solo ad avere la stessa natura del padre, mentre era sulla terra come uomo, esisteva in cielo come Dio, accanto a Dio padre, infatti si usa il presente: "che
è nel seno del padre" non si usa ne il passato "che era" ne il futuro "che sarà".
In greco questo verbo suona cosi (Ho on) e richiama l'essente, colui che è, parola molto importante in ambito semitico che conosciamo molto bene e che incontreremo di nuovo tra poco.
Dio si è rivelato (nota l'aoristo storico) nella persona del Verbo Incarnato ovvero l'unigenito Dio "che lo ha rivelato".
"1 Giovanni 3:5; " 5 Voi sapete che egli si è manifestato per togliere i peccati, e in lui non vi è peccato."
giovanni 3:13 " Nessuno è salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo, che è in cielo."
Anche queste scritture dicono chiaramente
che fu il figlio a scendere dal cielo, a manifestarsi, dice inoltre (secondo la maggioranza dei manoscritti autorevoli) che benché fosse "sceso dal cielo" continuava comunque ad essere "nel cielo".
Anche l'autore di Romani ci viene in aiuto sul concetto della duplice natura:
(paoline) Romani 9:5 "da loro proviene Cristo secondo la sua natura umana, egli che domina tutto, è Dio, benedetto nei secoli, amen! "
Ecco quanto è chiaro: uomo e Dio insieme, la stragrande maggioranza delle traduzioni ha interpretato il passo in questa maniera e i padri della chiesa lo confermano, traducono così infatti:
Ippolito, Tertulliano, Cipriano, Atanasio, Noviano, Ieromo, Basilio, Agostino, Novaziano, Didimo, Gregorio di Nissa, Giovanni Damasceno, Epifanio di Salamina, Teodoro, Eulogo, Teofilo, Teodoreto, Cassiano, Fulgenzio.
E' interessante notare inoltre come suonava anche questa scrittura all'uditorio greco: "... ho on epì panton Theos euloghetos" che tradotto alla lettera vuol dire "l'essente [colui che è] sopra tutto Dio benedetto"
Avete letto bene, nelle traduzioni italiane si perde il senso e la forma, ma chi conosce la LXX sa benissimo che l'"Ho on" è il nome di Dio ovvero "colui che è" e quì è usato nei riguardi del figlio, specificando che è appunto il "Dio benedetto".
La TNM e poche altre (anche autorevoli) hanno messo il punto prima di "Dio benedetto" facendo perdere il senso proprio del versetto e facendo apparire "Dio benedetto nei secoli" un inno al padre; ma in questo modo si spezza il contesto, si sta parlando di Cristo e fermare il versetto per inneggiare improvvisamente il padre non è logico, il rasoio di Occam ci fa propendere per la soluzione più semplice che è la prima, quella adottata anche dai padri della chiesa sopramenzionati i quali conoscevano il greco meglio di qualunque traduttore moderno.
Ma esiste una prova ancora più schiacciante che quelle parole venissero attribuite al figlio e non al padre, ed è l'opinione degli ariani stessi, Agostino in "de trinitate" (scritto appunto contro la loro eresia) al libro II versi 13:23 leggiamo:
"...Ora se non solamente il Padre è Dio, come lo riconoscono anche tutti gli eretici, se è Dio anche il Figlio, come essi debbono ammettere,
sia pur contro voglia, in forza delle parole dell’Apostolo: Egli è al di sopra di tutte le cose, Dio benedetto nei secoli".
Insomma se ci fosse stata la possibilità che quel passo potesse essere interrotto applicando il titolo "Dio benedetto" al solo padre, credete che gli ariani non ne avessero approfittato?
Per quanto riguarda la duplice natura del figlio rimane solo filippesi 2 che prenderò in esame più in la.
Io ho esposto il pensiero trinitario, ora potete anche controargomentare, ma lo sottolineo: con rispetto, come ho cercato di fare io.
ciao