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22/04/2009 23:00

Il gioco, le regole, la vita.


Considerando il rischio che qualcuno possa associare il gioco a qualcosa di poco serio, com'è successo, mi premuro di spiegarne il senso.
Per gioco, secondo eminenti analisti della parola, si intende un sistema condiviso di regole, per il raggiungimento di obiettivi che gratificano.
In concreto tutta la nostra esistenza è assimilabile ad un gioco, ivi compreso eventuali sistemi di credenze religiose, di idedologie politiche, finanziarie, economiche etc.
Lo spunto è preso dal gioco vero e proprio, peculiarità dell'infanzia.
Il gioco vero (per, cioè, come la maggioranza delle persone lo considera) dovrebbe avere lo scopo di procurare soddisfazione e divertimento, gratificazione.
Nel gioco vi è sempre una posta: il premio, un titolo, una coppa.
In un gioco si parte sempre da una premessa e, attraverso una serie di mosse ragionate, di strategie, di allenamento, di sacrifici etc., si giunge al fine corsa con il conseguimento dell'obiettivo, dato in premessa come posta.
In fondo l'essere umano non si è mai spostato dal gioco infantile.
Ne ha modificato le regole, ha creato numerosi altri giochi, ma sempre gioco è rimasto.
Chi aderisce ad un sistema di gioco è perchè lo decide e perchè trova soddisfacente le sue regole e la posta finale.
Nessuno può obbligare chicchessia a giocare un dato gioco, così come nessuno può impedirgli di abbandonare e defilarsi da quel tipo di gioco, senza per questo dover pagare una qualche tangente o dover essere discriminato.

L'essere umano non può non giocare, perchè, quando smette di giocare, di solito si avvilisce, perde la grinta, l'interesse e finisce per annoiarsi ed andare incontro a notevoli disagi.
Il gioco implica fantasia, idee, obiettivi, forza d'animo, grinta, voglia di andare sino in fondo.
Questo, ovviamente, finchè quel sistema di gioco interessa e dà soddisfazione.
L'amore è un gioco, l'unione matrimoniale è un gioco, l'amicizia è un gioco.
Quando un gioco non procura più soddisfazione e divertimento di solito si smette di giocarlo.
E' praticamente impossibile continuare a giocare un gioco che non diverte più, che non interessa più, che non gratifica più.
Esattamente come quando il gioco dell'amore che procura infelicità nel momento in cui i due non condividono più le stesse regole, in cui non si sente più desiderio e soddisfazione, interesse per l'altro.
Si può, è vero, continuare a vivere insieme, ma senza divertimento, senza passione, che soddisfazione può mai procurare? Nessuna.
E' l'apologia dell'infelicità.

Il bambino gioca a fare il papà o la mamma, gioca a fare il dottore, fantastica la vita adulta ed imita gli adulti.
Se gli infanti non giocassero in questo modo la loro esistenza diventerebbe una gabbia ed un'insoddisfazione da subito.
Da adulti le cose non cambiano.
Tutti hanno bisogno di intervenire in qualche gioco condiviso.
La religione non fa eccezione.
Anche il gioco religioso prevede regole, che delimitano comportamenti, che segnalano un percorso, che additano una posta, un traguardo.
Chi gioca bene il gioco, condividendone le regole e le aspirazioni sarà una persona soddisfatta, piena di vitalità e voglia di vivere.
Diversamente sarà un incubo da cui sottrarsi quanto prima.
Solo che, nel gioco religioso, a differenza di altri giochi, ivi compresi i politici e qualunque altro (poi possono esserci benissimo giochi politici che si atteggiano a giochi religiosi), non ci si limita a prendere atto della volontà del giocatore di abbandonare quel gioco, magari per intraprenderne un altro che trova più gratificante (almeno al momento, poi può ancora stancarsi), ma si punisce per averlo abbandonato e si chiede la solidarietà di tutti perchè discriminino a vita quel credente.

Anche il lavoro se è visto come un gioco determina soddisfazione, mentre se non risulta gradito induce disagi e problemi anche di salute fisica.

Suvvia, giochiamo in libertà il gioco che vogliamo, ma lasciamo chi non lo condivide più libero di abbandonarlo, senza per questo castigarlo, privandolo degli affetti degli amici, del loro saluto, della loro compagnia.
Il gioco religioso è spesso e volentieri condizionante, nel senso che nel contempo tu non puoi giocare altri giochi, se non quello.
Gli altri giochi vengono visti male, vengono criticati, si invita a disertare ogni amicizia che abbia referenti in giochi diversi.
Si finisce per costruire tutte le proprie amicizie e la propria base sociale all'interno di quell'ambito di regole.
E' ovvio che, quando un giocatore non ama più il gioco in corso, essendo espulso, è espulso da tutto il mondo che ha costruito in anni intorno a sè. E' una forma di esilio, di abbandono in recinti che non sono congeniali al giocatore, è una situazione per cui il giocatore, disdegnato dai vecchi amici, comincia a costruire nella sua mente il nemico da combattere, a vedere in ogni azione passata qualcosa di prestabilito per condizionarlo ed imprigionarlo, inizia a sentire il peso di quello che ora interpreta come tradimento della fiducia riposta in quelle regole ... per alcuni potrebbe iniziare un periodo di rancore, fino a trasformarsi in odio. Ci va moltissimo tempo per guarire da ferite di questo genere, in particolare se il giocatore è coinvolto con la sua famiglia ed i suoi parenti che continuano il gioco che prima anche lui condivideva.

A questo punto non è più gioco un sistema così, ma è qualcosa di cui la società civile prima o poi dovrà prendere atto, per impedire che l'abbandono di un gioco si traduca in qualcosa di devastante per il giocatore.

Questo è ciò che ho inteso dire per GIOCO, il gioco della vita.

Pyccolo



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