dispensa., 29/05/2009 17.38:
X Delemme
Uno di noi rispetto a chi parla non può essere in senso morale, ne vi è alcuna cosa che lo faccia pensare, quindi l'espressione può far risalire solo alla categoria o famiglia a cui appartiene costui come spirito.
Questo non toglie la somiglianza che ha tale spirito con Adamo rispetto alla condizione di autodeterminare e applicare per se cosa e bene e cosa e male.
Aspetto che toccherebbe solo al vero Dio deciderlo per le sue creature come per se stesso..e a nessun altro.
Quindi anche volendo venire incontro alla tua idea, nel senso che quel noi rappresenti Dio e Gesù e i suoi angeli, questo sarebbe improprio
Questo perchè Gesù Cristo in quanto a conoscere il bene e il male,era simile con Adamo solo fino a quando quest'ultimo non aveva ancora peccato.
Cristo non si era mai preso l'autodeterminazione di ciò che era bene o male per lui, non conobbe mai questo bene e male gestito indipendentemente dalla volontà di Dio, e che divenne invece poi la condizione dell'Adamo ribelle, e ladro, e di sua moglie, e degli angeli ribelli.
Solo nel caso che credessimo a un Dio trino potresti avere ragione, nel senso che il Figlio come il Padre determinano per se il male e il bene...ciò giustificando la espressione al plurale.
Però "uno di noi" è scritto minuscolo...
Ringrazio per aver messo la discussione in un altra posizione.
Qualsiasi discorso, se non supportato da almeno una scrittura, rientra nel campo delle ipotesi.
Dopo che Adamo ed Eva ebbero mangiato il frutto proibito (Ge 2:17; 3:5, 6), Dio disse a colui che aveva associato a sé nell’opera creativa (Gv 1:1-3): “Ecco, l’uomo è divenuto simile a uno di noi conoscendo il bene e il male”. (Ge 3:22)
Questo passaggio risulta chiaro se consideriamo Cristo artefice delle opere creative.
Alla luce di ciò, qual é il senso delle parole di Genesi 3:22? Dio non si riferiva solo al sapere ciò che era bene e ciò che era male per loro, perché il primo uomo e la prima donna avevano tale conoscenza grazie ai comandi che Dio aveva dato loro.
Non è malvagio pensare che Adamo ed Eva avevano acquistato conoscenza del bene e del male nel senso particolare di giudicare da sé ciò che era bene e ciò che era male. In sostanza misero il proprio giudizio al di sopra di quello di Dio: disubbidirono divenendo legge a se stessi, per così dire, anziché ubbidire a Geova.
La conoscenza, penso non può essere il discernimento morale, che l’uomo innocente aveva già e che Dio non poteva rifiutare alla sua creatura ragionevole. Pertanto, escludendo queste possibilità, non resta che la facoltà di decidere da se stessi ciò che è bene e male, e di agire di conseguenza: una rivendicazione di autonomia morale con la quale l’uomo rinnega il suo stato di creatura.