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Testimoni di Geova: Risposte a Domande
 
 
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Perché la vostra Bibbia

Ultimo Aggiornamento: 23/07/2014 09:20
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23/07/2014 09:20

non contiene i libri apocrifi?

Periodicamente questa osservazione ci viene riproposta. Ecco cosa scriviamo in una nostra pubblicazione:

"Prove contro la canonicità. Anche se in qualche caso questi scritti hanno un certo valore storico, la loro pretesa canonicità è priva di fondamento. Evidentemente il canone ebraico venne completato nel V secolo a.E.V., dopo che furono scritti i libri di Esdra, Neemia e Malachia. Gli scritti apocrifi non furono mai inclusi nel canone ebraico delle Scritture ispirate e non ne fanno parte neanche oggi.
Giuseppe Flavio, storico ebreo del I secolo, dà atto solo del riconoscimento di quei libri (del canone ebraico) considerati sacri: “Non possediamo miriadi di libri incoerenti, in conflitto tra loro. I nostri libri, quelli giustamente riconosciuti, sono solo ventidue [l’equivalente dei 39 libri delle Scritture Ebraiche secondo la suddivisione attuale], e contengono la storia di tutti i tempi”. Poi si mostra chiaramente consapevole dell’esistenza dei libri apocrifi e della loro esclusione dal canone ebraico, aggiungendo: “Dal tempo di Artaserse fino al nostro è stata scritta una storia completa, ma non è stata ritenuta dello stesso valore dei documenti precedenti, perché manca l’esatta successione dei profeti”. — Contro Apione, I, 38, 41 (8).

Inclusi nella “Settanta”. Gli argomenti a favore della loro canonicità si basano generalmente sul fatto che questi scritti apocrifi si trovano in molte antiche copie della Settanta, traduzione delle Scritture Ebraiche in greco, iniziata in Egitto verso il 280 a.E.V. Comunque, dato che non esistono copie originali della Settanta, non si può affermare categoricamente che vi fossero originariamente inclusi i libri apocrifi. Si ammette che molti, forse quasi tutti gli Apocrifi, furono scritti dopo l’inizio della traduzione della Settanta e quindi non potevano far parte dell’originario elenco dei libri scelti per essere tradotti. Nel migliore dei casi si potevano considerare solo delle aggiunte alla traduzione originaria.
Inoltre, mentre gli ebrei di lingua greca di Alessandria finirono per inserire questi scritti apocrifi nella Settanta greca e a quanto pare li considerarono parte di un ampliato canone di scritti sacri, le già citate parole di Giuseppe Flavio indicano che non furono mai inclusi nel canone palestinese o di Gerusalemme e, al massimo, erano considerati solo come scritti di secondaria importanza e non di origine divina. Infatti il concilio ebraico di Jamnia (verso il 90 E.V.) escluse categoricamente tali scritti dal canone ebraico.
La necessità di tener conto dell’opinione ebraica al riguardo è chiaramente affermata dall’apostolo Paolo in Romani 3:1, 2.

Altre testimonianze antiche. Una delle principali prove estrinseche della non canonicità degli Apocrifi è il fatto che nessuno degli scrittori biblici cristiani abbia mai citato questi libri. Anche se questa di per sé non è una prova conclusiva, in quanto nei loro scritti mancano anche citazioni di alcuni libri di riconosciuta canonicità, quali Ester, Ecclesiaste e Cantico dei Cantici, è degno di nota che nessuno degli scritti inclusi negli Apocrifi sia citato neanche una volta.
E non è senza peso il fatto che eminenti studiosi biblici e “padri della chiesa” dei primi secoli dell’era volgare, nel complesso, attribuissero agli Apocrifi un’importanza minore. Origene, all’inizio del III secolo E.V., dopo accurati studi fece una netta distinzione fra questi scritti e quelli del vero canone. Atanasio, Cirillo di Gerusalemme, Gregorio Nazianzeno e Anfilochio, tutti del IV secolo E.V., compilarono cataloghi degli scritti sacri seguendo il canone ebraico e ignorando questi scritti aggiunti o considerandoli di secondaria importanza.
Girolamo, che è definito “il migliore studioso di ebraico” della chiesa primitiva e che nel 405 E.V. portò a termine la Vulgata latina, prese decisamente posizione contro tali libri apocrifi, anzi fu il primo a usare il termine “apocrifi” nel senso di non canonici in riferimento a questi scritti. Infatti nel prologo ai libri di Samuele e Re, Girolamo elenca i libri ispirati delle Scritture Ebraiche seguendo il canone ebraico (nel quale i 39 libri sono raggruppati in 22) e poi dice: “Ci sono ventidue libri . . . Questo prologo delle Scritture può concorrere per così dire alla difesa di tutti i libri che traduciamo dall’ebraico in latino: affinché siamo in grado di sapere che tutto ciò che è al di fuori va incluso negli apocrifi”. (J. P. Migne, Patrologia latina, vol. 28, coll. 600, 601) Scrivendo a una donna di nome Leta a proposito dell’educazione della figlia, Girolamo consigliava: “Stia bene attenta a tutti quanti i libri apocrifi. Se qualche volta avesse intenzione di consultarli, non per trarne verità dogmatiche ma solo per contemplarne devotamente i simboli, sappia che gli autori non sono quelli che figurano nelle rispettive intestazioni e che ci sono frammischiati non pochi elementi falsi, per cui occorre una grande prudenza per discernere l’oro nel fango”. — Le lettere, Roma, 1962, vol. III, p. 274.

Opinioni cattoliche differenti. La tendenza a includere questi scritti aggiunti come se fossero canonici ebbe inizio con Agostino (354-430 E.V.), anche se in opere successive lui stesso riconobbe che c’era una netta distinzione fra i libri del canone ebraico e questi altri libri. Tuttavia la Chiesa Cattolica, seguendo l’esempio di Agostino, incluse questi altri scritti nel canone dei libri sacri stabilito dal Concilio di Cartagine nel 397 E.V. Solo molto più tardi, però, nel 1546, al Concilio di Trento, la Chiesa Cattolica Romana confermò definitivamente l’inclusione di queste aggiunte nel suo catalogo dei libri biblici, azione ritenuta necessaria per il fatto che, anche all’interno della chiesa, i pareri su questi libri erano ancora discordi. John Wycliffe, sacerdote cattolico e studioso che, con l’ulteriore aiuto di Nicholas di Hereford, nel XIV secolo fece la prima traduzione della Bibbia in inglese, non incluse gli Apocrifi nella sua opera, e nella prefazione a questa traduzione dichiarò tali scritti “senza autorità di fede”. Anche il domenicano cardinal Caetano, eminente teologo cattolico dell’epoca (1469-1534), definito da Clemente VII “luminare della Chiesa”, fece distinzione fra i libri del vero canone ebraico e le opere apocrife, citando gli scritti di Girolamo come autorità.
Si noti inoltre che il Concilio di Trento non accettò tutti gli scritti già approvati dal precedente Concilio di Cartagine ma ne scartò tre: la preghiera di Manasse e 1 e 2 Esdra (non il 1 e 2 Esdra che in alcune versioni cattoliche corrispondono a Esdra e Neemia). Così questi tre scritti, che per oltre 1.100 anni avevano fatto parte della Vulgata latina, versione che aveva l’approvazione ecclesiastica, furono ora esclusi.

Prove intrinseche. Le prove intrinseche della non canonicità di questi scritti apocrifi hanno ancora più peso di quelle estrinseche. Manca completamente l’elemento profetico. Il contenuto e gli insegnamenti a volte contraddicono quelli dei libri canonici e sono inoltre contraddittori in se stessi. Sono pieni di inesattezze storiche e geografiche e di anacronismi. In alcuni casi gli scrittori si rendono colpevoli di disonestà attribuendo falsamente le proprie opere a scrittori ispirati precedenti. Dimostrano di aver subìto l’influenza greca pagana, e a volte ricorrono a stravaganze di linguaggio e a uno stile letterario del tutto estranei alle Scritture ispirate. Due degli scrittori ammettono di non essere ispirati. (Vedi il Prologo di Ecclesiastico; 2 Maccabei 2:24-32; 15:38-40, Ri). Quindi si può ben dire che le migliori prove della non canonicità degli Apocrifi sono gli Apocrifi stessi".
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