Disassociazione per apostasia

F.Delemme
00martedì 16 ottobre 2007 10:08
Il punto di vista biblico

Perché i testimoni di Geova hanno disassociato per apostasia alcuni che ancora dichiarano di credere in Dio, nella Bibbia e in Gesù Cristo?

Coloro che sollevano un’obiezione del genere fanno notare che molte organizzazioni religiose che si professano cristiane permettono opinioni dissidenti in seno ad esse. Persino alcuni ecclesiastici che non sono d’accordo con certe dottrine fondamentali della loro chiesa conservano la loro posizione. In quasi tutte le confessioni della cristianità ci sono sia i progressisti che i conservatori, che sono in profondo disaccordo fra loro in merito all’ispirazione delle Scritture. Questi esempi, tuttavia, non sono una ragione per cui noi dobbiamo fare altrettanto. Perché no? Gran parte di queste confessioni ammettono opinioni molto divergenti tra gli ecclesiastici e i laici perché pensano non si possa essere sicuri di quale sia esattamente la verità biblica. Sono come gli scribi e i farisei del tempo di Gesù i quali non sapevano parlare con autorità, come faceva invece Gesù. (Matteo 7:29) Per di più, nella misura in cui questi fanatici religiosi credono nell’ecumenismo, sono costretti a non prendere troppo sul serio le divergenze dottrinali. Questo punto di vista, però, non trova conferma nelle Scritture. Gesù non abbracciò la causa di alcuna delle sette del giudaismo. Gli ebrei che facevano parte di quelle sette dichiaravano di credere nel Dio della creazione e nelle Scritture Ebraiche, in particolare nella Legge di Mosè. Eppure Gesù disse ai suoi discepoli di ‘guardarsi dall’insegnamento dei Farisei e dei Sadducei’. (Matteo 16:11, 12; 23:15) Notate anche la vigorosa dichiarazione dell’apostolo Paolo: “Anche se noi o un angelo dal cielo vi dichiarasse come buona notizia qualche cosa oltre ciò che vi abbiamo dichiarato come buona notizia, sia maledetto”. Poi, per dare risalto alla cosa, Paolo ripeté la dichiarazione. — Galati 1:8, 9.

L’insegnamento di opinioni dissidenti o divergenti non è compatibile con il vero cristianesimo; Paolo lo spiega chiaramente in I Corinti 1:10: “Pertanto vi esorto, fratelli, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, a pensare tutti alla stessa maniera, perché non vi siano in mezzo a voi divisioni, ma siate perfetti nello stesso pensiero e nel medesimo sentimento”. In Efesini 4:3-6 inoltre disse che i cristiani dovevano cercare “d’osservare premurosamente l’unità dello spirito nell’unificante vincolo della pace. Vi è un solo corpo, e un solo spirito, come foste chiamati nell’unica speranza alla quale foste chiamati; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo; un solo Dio e Padre di tutti”. Quest’unità doveva essere conseguita e mantenuta con lo studio indipendente delle Scritture mediante il quale ognuno giungeva alle proprie conclusioni che poi insegnava? Niente affatto. A questo scopo, tramite Gesù Cristo, Geova Dio aveva provveduto “alcuni come apostoli, . . . alcuni come evangelizzatori, alcuni come pastori e maestri . . . finché perveniamo tutti all’unità della fede e dell’accurata conoscenza del Figlio di Dio, all’uomo fatto”. Certo, grazie all’aiuto di questi ministri, l’unità della congregazione, cioè l’unione in campo dottrinale e nell’attività, poteva essere e sarebbe stata possibile. — Efesini 4:11-13. È ovvio che la base per venire accettati come componenti dei testimoni di Geova non può essere semplicemente il credere in Dio, nella Bibbia, in Gesù Cristo, e così via.

Sia il papa cattolico che l’arcivescovo anglicano di Canterbury professano di credere in queste cose, eppure i fedeli che appartengono a una di queste due chiese non possono appartenere all’altra. In modo simile, il semplice fatto che uno professi queste credenze non lo autorizza a identificarsi come testimone di Geova. Per essere associati approvati dei testimoni di Geova occorre accettare tutto l’insieme dei veraci insegnamenti della Bibbia, incluse quelle dottrine scritturali che sono proprie dei testimoni di Geova. Abbiamo precedenti scritturali per assumere una posizione così rigida? Certamente! A proposito di alcuni suoi contemporanei Paolo scrisse: “La loro parola si spargerà come cancrena. Imeneo e Fileto sono di tale numero. Questi stessi uomini han deviato dalla verità, dicendo che la risurrezione sia già avvenuta; e sovvertono la fede di alcuni”. (II Timoteo 2:17, 18; vedi anche Matteo 18:6). Niente sta a indicare che costoro non credessero in Dio, nella Bibbia, nel sacrificio di Gesù. Eppure, per quest’unico punto fondamentale, quanto loro insegnavano in merito al tempo della risurrezione, Paolo giustamente li tacciò di apostasia, e i cristiani fedeli non li avrebbero frequentati. In modo simile, l’apostolo Giovanni definì anticristi coloro che non credevano che Gesù fosse venuto nella carne. Probabilmente costoro credevano in Dio, nelle Scritture Ebraiche, in Gesù quale Figlio di Dio, e così via. Non erano d’accordo però su un determinato punto — che Gesù fosse effettivamente venuto nella carne — e per questo furono definiti “anticristo”. Giovanni, a proposito di coloro che sostengono queste opinioni dissidenti, prosegue dicendo: “Se alcuno viene da voi e non porta questo insegnamento, non lo ricevete nella vostra casa e non gli rivolgete un saluto. Poiché chi gli rivolge un saluto partecipa alle sue opere malvage”. — II Giovanni 7, 10, 11. In base a questi modelli scritturali, se oggi un cristiano (che asserisce di credere in Dio, nella Bibbia e in Gesù) promuove false dottrine senza pentirsene, può dover essere espulso dalla congregazione. (Vedi Tito 3:10, 11). Naturalmente, se una persona ha semplicemente dei dubbi o non conosce un particolare argomento, ministri qualificati lo assisteranno amorevolmente. Questo è in armonia col consiglio: “Continuate a mostrare misericordia ad alcuni che hanno dubbi; salvateli strappandoli al fuoco”. (Giuda 22, 23) Pertanto, la vera congregazione cristiana non può essere giustamente accusata di crudele dogmatismo, ma tiene in gran conto e si sforza di conseguire l’unità di cui parla la Parola di Dio.

W 1/04/1986 Domande dai lettori
F.Delemme
00lunedì 8 aprile 2013 13:02

Domande dai lettori

▪ Qual è il modo corretto in cui la congregazione deve trattare chi lascia la vera fede cristiana per unirsi a un’altra religione?

Nel I secolo a volte si verificarono di questi casi. È perciò comprensibile che possano talvolta accadere anche oggi. Quando ciò accade, la congregazione giustamente compie dei passi per proteggere la purezza spirituale dei cristiani leali che ne fanno parte.
Un dizionario definisce così l’apostasia: “Abbandono totale e pubblico della propria religione per seguirne un’altra . . . Abbandono della propria dottrina, di un obbligo morale o di partito”. (Il nuovo Zingarelli, ed. Zanichelli, 1983) Un altro dice: “Ripudio, rinnegamento della propria religione . . . Abbandono della propria dottrina, in genere, o anche . . . di un obbligo morale”. (Dizionario Enciclopedico Italiano, di G. Treccani) Di conseguenza, Giuda Iscariota si rese colpevole di una forma di apostasia allorché abbandonò l’adorazione di Geova Dio tradendo Gesù. Successivamente, altri divennero apostati lasciando la vera fede anche mentre erano in vita l’apostolo Giovanni e altri dei primi discepoli. Giovanni scrisse: “Sono usciti da noi, ma non erano della nostra sorta; poiché se fossero stati della nostra sorta, sarebbero rimasti con noi”. — I Giovanni 2:19.
Come ci si deve comportare quando oggi si verifica una cosa simile? Gli anziani, o pastori, della congregazione potrebbero venire a sapere che un cristiano battezzato, che ha smesso di frequentare il popolo di Geova, ha cominciato ad associarsi a un’altra religione. In armonia con le parole di Gesù circa il bisogno di preoccuparsi di qualsiasi pecora che si disperda, i pastori spirituali dovrebbero interessarsi di aiutarlo. (Matteo 18:12-14; confronta I Giovanni 5:16). E se i pastori incaricati di esaminare la cosa stabiliscono che non intende più avere nulla a che fare con i testimoni di Geova ed è deciso a restare in una falsa religione?
In tal caso, annuncerebbero semplicemente alla congregazione che l’individuo si è dissociato e pertanto non è più testimone di Geova. Costui ha ‘abbandonato la propria religione’; tuttavia, non occorre compiere una formale azione di disassociazione. Per quale ragione? Perché si è già dissociato dalla congregazione. Probabilmente, non cerca di mantenere i contatti con i suoi ex fratelli allo scopo di persuaderli a seguirlo. Da parte loro, i fratelli leali non ne cercano la compagnia, dato che ‘è uscito da loro, perché non era della loro sorta’. (I Giovanni 2:19) Questo dissociato che ‘è uscito da noi’ potrebbe mettersi a scrivere lettere o a inviare pubblicazioni che sostengono la falsa religione o l’apostasia. Questo non farebbe altro che mettere in risalto che questa persona proprio ‘non era della nostra sorta’.
Le Scritture, comunque, mettono in guardia contro alcuni che avrebbero cercato di rimanere fra il popolo di Dio e tentato in quell’ambito di sviare altri. L’apostolo Paolo avvertì: “Fra voi stessi sorgeranno uomini che diranno cose storte per trarsi dietro i discepoli”. (Atti 20:30) In modo molto vigoroso, suggerì ai cristiani di ‘tenere d’occhio quelli che causano divisioni e occasioni d’inciampo contro l’insegnamento che avevano imparato, ed evitarli’. — Romani 16:17, 18.
Perciò, se qualcuno diventava un falso insegnante fra i veri cristiani, come Imeneo e Fileto al tempo di Paolo, i pastori del gregge avrebbero dovuto prendere misure protettive. Se avesse rifiutato i loro amorevoli ammonimenti e avesse continuato a promuovere una setta, un comitato di anziani avrebbe potuto disassociarlo, o espellerlo, per apostasia. (II Timoteo 2:17; Tito 3:10, 11) I singoli fratelli e sorelle della congregazione avrebbero seguito il comando di Paolo ‘evitando’ colui che cercava di ‘causare divisioni’. Giovanni diede un consiglio simile: “Se alcuno viene da voi e non porta questo insegnamento, non lo ricevete nella vostra casa e non gli rivolgete un saluto”. — II Giovanni 10.


W 15/10/1986 Domande dai lettori
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