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Testimoni di Geova: Risposte a Domande
 
 
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Ero una suora Cattolica

Ultimo Aggiornamento: 09/05/2012 09:12
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09/05/2012 09:12


NARRATO DA LUCIA MOUSSANET

Annidata fra i monti all’estremo lembo nord-occidentale dell’Italia, circondata dalle Alpi che la dividono dalla Svizzera e dal famoso massiccio del Monte Bianco al confine con la Francia, si stende la Valle d’Aosta. Questa è la regione in cui sono nata nel 1941, nel piccolo centro di Challant St. Anselme.
Ero la maggiore di cinque figli, unica femmina tra quattro maschi. La mamma era una grande lavoratrice e una cattolica devota. Anche papà veniva da una famiglia religiosa e aveva due sorelle suore. I miei genitori fecero molti sacrifici per me, dandomi fra l’altro la possibilità di farmi un’istruzione. Nel nostro paesello non c’erano scuole, perciò quando avevo 11 anni mi mandarono in un collegio gestito da suore.
Lì, oltre alle altre materie, studiai latino e francese. Poi, a 15 anni, cominciai a pensare seriamente al modo di servire Dio. Mi convinsi che la cosa migliore sarebbe stata entrare in convento. Ai miei genitori, però, non piaceva l’idea, dato che la mamma avrebbe dovuto occuparsi da sola dei miei fratelli. I miei genitori avevano sperato che l’istruzione mi avrebbe permesso di trovare un buon lavoro e di dare un aiuto economico alla famiglia.
Per quanto la loro reazione mi rattristasse, volevo che la mia vita avesse uno scopo vero e pensavo che Dio doveva avere il primo posto. Quindi, nel 1961, entrai in un convento cattolico.
La mia vita di suoraNei primi mesi studiai le norme e le regole ecclesiastiche e feci lavori manuali nel convento. Nell’agosto 1961 cominciai il noviziato e indossai l’abito monacale. Inoltre proposi il nuovo nome che avrei assunto, Ines, il nome di mia madre. Quando fu accettato, diventai suor Ines.
Quasi tutte le novizie lavoravano nel convento, ma io avevo abbastanza istruzione da fare la maestra elementare. Due anni dopo, nell’agosto 1963, presi i voti ed entrai nell’ordine delle Suore di San Giuseppe di Aosta. In seguito il convento pagò le spese perché proseguissi gli studi, mandandomi a Roma alla Libera Università Maria Santissima Assunta.
Terminati gli studi a Roma, tornai ad Aosta nel 1967 e cominciai a insegnare in una scuola superiore. Nel 1976 mi fu offerto di diventare preside di quella scuola. Anche se insegnavo ancora in alcune classi, svolgevo compiti amministrativi ed entrai a far parte del consiglio scolastico regionale della Valle d’Aosta.
Era mio sincero desiderio aiutare i poveri. Mi facevano molta pena. Perciò organizzai diversi programmi sociali, fra cui uno per aiutare i malati terminali che non avevano famiglia. Fondai anche un doposcuola per figli di immigrati. Inoltre trovavo lavoro e alloggio per i poveri e mi preoccupavo di provvedere assistenza sanitaria a chi ne aveva bisogno. Cercavo di vivere secondo i princìpi religiosi della chiesa.
In quel tempo accettavo la teologia cattolica, incluse dottrine come la Trinità, l’immortalità dell’anima, e l’idea cattolica sul futuro eterno dell’uomo. Ormai la teologia cattolica ammetteva la pluralità delle fedi, che significava tollerare le altre religioni e coesistere con esse.
Cose che cominciarono a turbarmi
Eppure certe attività all’interno della Chiesa Cattolica mi turbavano. Prima di battezzare i figli, i genitori erano tenuti a studiare il significato di questo passo, e lo stesso valeva per i ragazzi prima della cresima. Però la maggioranza non veniva mai alla dottrina e altri non si impegnavano nello studio. Inoltre alcuni che non erano ammessi al battesimo e alla cresima in una parrocchia, riuscivano a riceverli semplicemente andando in un’altra parrocchia. Secondo me era un comportamento superficiale e ipocrita.
A volte chiedevo a me stessa e alle altre suore: “Non dovremmo predicare il Vangelo invece di dedicarci ad altre attività?” “Noi predichiamo facendo opere buone”, era la risposta.
Inoltre mi era difficile credere di dover confessare i miei peccati a un sacerdote. Pensavo che avrei potuto parlare a Dio di cose così personali. Non concepivo neanche l’idea di ripetere preghiere imparate a memoria. E non riuscivo a credere nell’infallibilità del papa. Alla fine conclusi che sarei rimasta della mia idea su questi argomenti e avrei semplicemente continuato la mia vita religiosa.
Il desiderio di conoscere la Bibbia
Ho sempre avuto un profondo rispetto per la Bibbia e il desiderio di conoscerla. Ogni volta che dovevo prendere una decisione o avevo bisogno dell’aiuto di Dio, la leggevo. Anche se in convento non la studiavamo mai, la leggevo per conto mio. Il brano di Isaia 43:10-12, in cui Geova Dio dice: “Voi siete i miei testimoni”, mi aveva sempre colpito. Allora, però, non capivo il pieno significato di queste parole.
Mentre frequentavo l’università a Roma a metà degli anni ’60, seguii un corso quadriennale di teologia patrocinato dal Vaticano. Ma la Bibbia non era inclusa fra i libri di testo. Una volta tornata ad Aosta partecipai a molti incontri ecumenici, anche a quelli patrocinati da organizzazioni interconfessionali e non cattoliche. Questo mi rese ancor più assetata di conoscere gli insegnamenti della Bibbia. C’era una tale confusione fra i gruppi che sostenevano di insegnarla!
Imparo a conoscere meglio la Bibbia
Nel 1982 una testimone di Geova passò dal centro in cui lavoravo come assistente sociale e cercò di iniziare con me una conversazione sulla Bibbia. Benché fossi molto occupata, l’idea di conoscere la Bibbia mi interessava, perciò dissi: “Per favore, passi dalla mia scuola, e quando ho un’ora libera, possiamo parlare”.
La donna tornò da me, ma nel mio programma non c’era mai “un’ora libera”. Poi mia madre seppe di avere il cancro, perciò alla fine chiesi una licenza per assisterla. Dopo la sua morte nell’aprile 1983 tornai al mio lavoro, ma ormai la Testimone aveva perso le mie tracce. Poco dopo, però, un’altra Testimone, sui 25 anni, venne a parlare della Bibbia. Stavo leggendo per conto mio l’Apocalisse. Perciò le chiesi: “Chi sono i 144.000 menzionati nel capitolo 14?”
Mi era stato insegnato che tutti i buoni vanno in cielo e perciò non riuscivo a capire la logica dei 144.000 che a quanto pare sono separati dagli altri in cielo. Mi chiedevo: ‘Chi sono questi 144.000? Cosa fanno?’ Queste domande continuavano a frullarmi nella mente. La Testimone continuò a cercarmi, ma non riusciva a trovarmi perché ero sempre in giro.
Alla fine diede il mio indirizzo a Marco, un anziano della sua congregazione. Finalmente, nel febbraio 1985, lui mi trovò. Parlammo solo per pochi minuti, dato che avevo da fare, ma prendemmo un appuntamento. In seguito lui e la moglie Lina iniziarono a farmi visita regolarmente, aiutandomi a capire la Bibbia. In breve tempo compresi che fondamentali dottrine cattoliche come la Trinità, l’immortalità dell’anima e l’inferno di fuoco non si basavano affatto sulla Bibbia.
Frequento i Testimoni
Quando andai a un’adunanza dei testimoni di Geova nella Sala del Regno, vidi subito che era un ambiente molto diverso dalla Chiesa Cattolica. Cantavano tutti, non solo il coro. Poi partecipavano all’adunanza. Inoltre mi resi conto che l’intera organizzazione era formata da “fratelli” e “sorelle”, che si interessavano davvero tutti l’uno dell’altro. Queste cose mi colpirono.
In quel tempo assistevo alle adunanze vestita da suora. Alcuni erano visibilmente colpiti di vedere una suora nella Sala del Regno. Provavo la gioia e la soddisfazione di essere circondata dall’amore di una grande famiglia. Inoltre man mano che studiavo capivo che molti princìpi su cui avevo basato la mia vita non erano in armonia con la Parola di Dio. Per esempio, la Bibbia non dice che i servitori di Dio indossino abiti particolari. La gerarchia e la pompa della chiesa erano ben lontane da quello che insegna la Bibbia riguardo agli umili anziani che prendono la direttiva nella congregazione.
Mi pareva di essere sulle sabbie mobili, senza terreno solido sotto i piedi. Sembrava impossibile che fossi vissuta nell’errore per 24 anni. Eppure riconoscevo il chiaro suono della verità. Ero spaventata all’idea che a 44 anni dovevo ricominciare tutto daccapo. Ma come potevo continuare a camminare a occhi chiusi adesso che avevo visto quello che la Bibbia insegna veramente?
Una decisione determinanteSapevo che lasciare il convento significava non avere niente sul piano economico. Tuttavia ricordavo le parole di Davide secondo cui il giusto non viene ‘mai lasciato interamente, né la sua progenie deve cercare il pane’. (Salmo 37:25) Sapevo che avrei perso in una certa misura la sicurezza materiale, ma confidai in Dio e pensai: ‘Di cosa devo avere paura?’
La mia famiglia riteneva che fossi diventata matta. Questo mi dispiaceva, ma ricordavo le parole di Gesù: ‘Chi ama padre o madre più di me non è degno di me’. (Matteo 10:37) Al tempo stesso semplici attenzioni da parte di Testimoni mi incoraggiarono e mi rafforzarono. Mentre passavo per strada vestita da suora, non mancavano di venire a salutarmi. Questo mi faceva sentire ancor più vicina alla fratellanza e parte della loro famiglia.
Finalmente andai dalla Madre Superiora e spiegai perché avevo deciso di lasciare il convento. Mi offrii di mostrarle con la Bibbia perché avevo preso questa decisione, ma rifiutò di ascoltare dicendo: “Se voglio capire qualcosa della Bibbia, posso rivolgermi a un biblista!”
L’ambiente cattolico rimase sconvolto dalla mia decisione. Mi si accusava di immoralità e di essere impazzita. Eppure chi mi conosceva sapeva che le accuse erano false. Coloro con cui avevo lavorato reagirono in modi diversi. Alcuni la considerarono un’azione coraggiosa. Altri erano addolorati, pensando che stavo prendendo una strada sbagliata. Alcuni persino mi compativano.
Il 4 luglio 1985 lasciai la Chiesa Cattolica. Sapendo come erano stati trattati altri che avevano fatto questo passo, i Testimoni temevano per la mia incolumità e mi tennero nascosta per un mese circa. Venivano a prendermi per le adunanze e mi riaccompagnavano dove alloggiavo. Non mi feci vedere finché le acque si calmarono. Poi, il 1° agosto 1985, cominciai a partecipare al ministero con i testimoni di Geova.
Quello stesso mese assistei a un’assemblea di distretto dei testimoni di Geova e i mezzi di informazione divulgarono la notizia che avevo lasciato la chiesa. Quando infine il 14 dicembre 1985 mi battezzai, sia la stazione televisiva che il giornale locale ritennero che la cosa fosse così scandalosa che pubblicarono di nuovo la notizia, per assicurarsi che tutti ne fossero informati.
Allorché lasciai il convento, materialmente non avevo proprio nulla. Non avevo un lavoro, non avevo una casa e non avevo una pensione. Perciò per un anno circa lavorai assistendo una paralitica. Nel luglio 1986 iniziai il servizio di pioniere, come viene chiamato il ministero a tempo pieno dei testimoni di Geova. Mi trasferii in una zona in cui c’era una piccola congregazione appena formata. Lì davo lezioni private di lingue e ripetizioni, approfittando degli studi che avevo fatto. Questo mi consentiva di avere un programma flessibile.
Servizio in un campo straniero
Ora che avevo imparato la verità biblica, volevo insegnarla a quante più persone possibile. Dato che parlavo francese, pensai di servire in qualche paese di lingua francese in Africa. Ma poi nel 1992 i testimoni di Geova ottennero il riconoscimento giuridico nella vicina Albania. Alla fine di quell’anno un gruppetto di pionieri fu mandato lì dall’Italia. Fra questi c’erano Mario e Cristina Fazio della mia congregazione, che mi invitarono a far loro visita e a prendere in considerazione la possibilità di servire in Albania. Perciò dopo aver riflettuto e pregato, a 52 anni, lasciai di nuovo una relativa sicurezza per avventurarmi in un mondo completamente diverso.
Era il marzo 1993. Appena arrivata mi resi conto che, pur non essendo lontana dal mio paese dal punto di vista geografico, ero in un altro mondo. Tutti andavano a piedi e parlavano albanese, lingua che mi era totalmente incomprensibile. Il paese stava facendo cambiamenti enormi, passando da un sistema politico a un altro. Ma la gente era assetata di verità biblica e amava leggere e studiare. Gli studenti biblici facevano rapido progresso spirituale e questo mi scaldava il cuore, aiutandomi ad abituarmi al nuovo ambiente.
Quando nel 1993 arrivai a Tirana, la capitale, in Albania c’erano una sola congregazione e poco più di 100 proclamatori sparsi in tutta la nazione. Quel mese, alla prima assemblea speciale di un giorno tenuta a Tirana, ci furono 585 presenti e 42 battezzati. Anche se non capivo niente, era commovente sentir cantare i Testimoni e vederli così attenti. In aprile si tenne la Commemorazione della morte di Gesù Cristo, con 1.318 presenti. Da allora in poi l’attività cristiana ha avuto un notevole sviluppo in Albania.
Guardavo la città dal mio balcone al quarto piano e mi chiedevo: ‘Quando riusciremo a raggiungere tutta questa gente?’ Ci ha pensato Geova Dio. Adesso a Tirana ci sono 23 congregazioni di testimoni di Geova. Nell’intera nazione ci sono 68 congregazioni e ben 22 gruppi, con 2.846 Testimoni. Tutta questa crescita in così pochi anni! E nel 2002 abbiamo avuto 12.795 presenti alla Commemorazione!
In questi dieci anni trascorsi in Albania ho avuto il grande privilegio di aiutare almeno 40 persone fino al battesimo. Anche diversi di loro adesso servono come pionieri e in altre forme di servizio a tempo pieno. Nel corso degli anni sei gruppi di pionieri italiani sono stati mandati in Albania. Per ciascun gruppo si è tenuto un corso di albanese di tre mesi, e sono stata invitata a insegnarlo agli ultimi quattro.
Quando gli amici seppero della mia decisione di lasciare la chiesa ebbero reazioni molto forti. Dopo tutti questi anni, però, si sono addolciti, poiché vedono che sono calma e in pace. Anche i miei familiari, inclusa una zia di 93 anni che è ancora suora, sono molto più tolleranti.
Da che l’ho conosciuto, Geova si è sempre preso cura di me in tante situazioni diverse. Ha diretto i miei passi verso la sua organizzazione. Ripensando al passato, ricordo il mio grande desiderio di aiutare i poveri, i derelitti e i bisognosi e l’aspirazione di impegnarmi completamente a servire Dio. Perciò ringrazio Geova che ha fatto sì che la mia sete spirituale fosse appagata.

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