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A Benedetto XVI, tuttavia, non interessa un ritorno al passato fine a se stesso quasi a voler proporre un conservatorismo di chiusura vecchio stile. Egli, semmai, intende ricordare che, soprattutto in campo liturgico, come anche in quello esegetico, ecclesiologico etc, essere riformatori significa riattualizzare il passato in un’ottica di continuità. Per questo insiste col rigore liturgico. Per questo, ad esempio, vuole riaccogliere in seno alla Chiesa i lefebvriani esigendo da loro non l’accettazione del nuovo rito, quanto quella di tutti i testi conciliari. Per questo approva, dopo mesi di attesa (ma comunque approva), gli statuti dei neocatecumenali chiedendo loro, all’opposto dei lefebvriani, soltanto maggiore rigore liturgico: dovranno ricevere la comunione in piedi, attorno all’altare, senza più rimanere seduti come avveniva prima.

La liturgia, per il Papa (vecchio o nuovo rito che sia) è il centro della vita di fede e, dunque, deve essere vissuta con rispetto, in continuum con il passato, secondo regole e precetti certi, senza abusi d’ogni sorta. E così deve essere vissuto il momento solenne della ricezione del corpo di Cristo.

Il Papa, insomma, dando l’eucaristia sulla lingua ai fedeli, ha voluto offrire un segnale. La cosa ha fatto e fa discutere non solo i liturgisti, i cerimonieri papali, i capi dicastero della curia romana e i teologi. Ma anche la base.